Il Centro Servizi
Sociali Rizzuti Caruso – Sacro Cuore sopravvive tra,
le ambizioni deluse e giustificate labilmente dagli
amministratori, e la realtà dei dipendenti che
lavorano rinunciando ai propri diritti.
Le lunghe disquisizioni verbali sulle vere o
presunte abilità degli amministratori nel muovere le
fila nel decollo e tracollo del Centro Servizi
Sociali Rizzuti Caruso – Sacro Cuore, incontrano
nelle varie tipologie dei fruitori, filtri
differenti che inducono ad una decodifica più o meno
obiettiva e consapevole.
Ostentati elenchi di meriti e ostacoli incontrati,
pongono sul piedistallo chi con giuste ambizioni, ha
cercato di creare una struttura che avrebbe potuto
occupare un gran numero di caltabellottesi.
Di fronte a prospettive di fallimento, gli autori –
attori di tale progetto, sciamano, conquistando le
dovute distanze di sicurezza, cercando di sgravarsi
di eventuali colpe dietro giustificazioni più o meno
plausibili.
Le varie motivazioni addotte ad analisi di una così
triste fine, conducono a un unico epilogo
significativo: “I conti non tornano”.
Questa vicenda, oltre che gli attori protagonisti,
ha delle comparse, che con rispettoso silenzio,
cercano ogni mese di far quadrare i conti a casa
propria, i dipendenti.
Sono proprio questi ultimi che si muovono ogni
giorno in uno scenario di precarietà, soprattutto
emotiva, dettata dalla necessità di operare con
estremo sacrificio nel bene della struttura, pena la
chiusura della stessa.
Da ciò l’assolvimento dei propri doveri, come
giusto, e la rinuncia ingiusta ai propri diritti:
varie indennità, riposi festivi, avanzo di carriera,
ferie estive consecutive per quindici giorni e in
ultimo, ma non per importanza, la riscossione dello
stipendio con regolare cadenza mensile (ultima
retribuzione percepita giugno 2008).
Ciò comporta, disagi emotivi ma anche economici e
progettuali, che inducono a una perdita di dignità
personale che il lavoro dovrebbe invece conferire.
Una dignità lesa dall’impossibilità di sopperire ai
propri bisogni economici oltre che a quelli della
famiglia, lesa dalla precarietà, che esclude la
possibilità di progetti a lungo termine, come quello
di usufruire di un mutuo, operazione che dovrebbe
apparire banale a chi lavora, e che diviene
impossibile a chi non gode il diritto dello
stipendio mensile.
Scendere dal piedistallo, camminare accanto a chi
vive dei sacrifici del lavoro e non solo a chi
compie manovre politiche e amministrative, è
l’invito che si pone a chi andrà ad amministrare.
E’, infatti, nello scambio semplice e quotidiano con
realtà diverse che si riesce a dare e ricevere molto
per arricchimento personale e morale.
Solo la ricerca e la consapevolezza dei valori può
condurre alla concretezza dei bisogni reali.
Caltabellotta,
3/11/2008 |
Nicola
Montalbano
Accursio Castrogiovanni
Schittone Paolo
Grado Mario
Sala Anna |
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