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Il più
importante palazzo nobiliare di Caltabellotta si affaccia,
con un fronte di circa 25 metri, sulla discesa Barone Scunda
(dal nome del feudo della famiglia che lo ha detenuto per
almeno tre secoli) e nella quale è ubicato l'ingresso
principale. Esso si sviluppa quasi integralmente su due
elevazioni ad eccezione del lato sud, dove a causa
dell'orografia dei luoghi è stato ricavato anche un parziale
scantinato. La parte basamentale ha un andamento a zigurrat,
con cantonali in pietra squadrata di probabile origine
tre/quattrocentesca.
Nei secoli successivi il palazzo ha avuto una serie di
adeguamenti alle varie esigenze dei proprietari e dei tempi
che cambiavano. Fu riedificato, sull'impianto originario
preesistente nella seconda metà del Settecento e completato
nei prospetti nei primi anni dell'Ottocento. Salvo lievi
rimaneggiamenti novecenteschi, l'edificio conserva pressoché
intatte le caratteristiche architettoniche originarie.
Dall'atrio interno è possibile accedere al Piano Nobile che
è costituito da 24 stanze molto ampie. Prima di essere
smantellato da vandali, il pavimento era rivestito con
mattoni di cotto smaltato e le volte delle stanze adibite ad
abitazione erano dipinte. Questa breve descrizione l’abbiamo
voluto dare per far rendere conto a chi ci legge e a chi non
lo ha mai visitato che ci troviamo di fronte ad un complesso
architettonico di tutto rispetto.
Alcuni documenti ritrovati recentemente dalla studiosa
saccense Angioletta Scandaliato (in via di pubblicazione e
in aggiunta a quelli già noti) attestano inconfutabilmente
che in quel sito esisteva un “palacho comitale” con cortile
interno appartenente alla famiglia Luna. Nel 1462 (anno a
cui fa riferimento il primo documento) era conte di
Caltabellotta Antonio de Luna.
Si ha ragione di credere quindi che la parte basamentale del
palazzo Bona, unica casa signorile con corte interna di
tutto il centro storico, possa essere quella del primo
impianto del vero Castello Luna.
Se si riuscisse a fare un restauro dell’intero complesso e
se si potessero, quindi, fare dei saggi diretti sulle
fondazioni, sul materiale lapideo e sulle strutture in modo
di poter accertare di fatto quanto già asserito dai
documenti ritrovati, si potrebbe avere la certezza assoluta.
In ogni caso questi documenti (provenienti dagli archivi
dell’Inquisizione) sono una scoperta non da poco per la
storia di Caltabellotta.
La famiglia Bona, le cui origini risalgono ai primi anni del
XV sec., come risulta dagli archivi e dai registri della
Regia Cancelleria del protonotariato del regno, è una delle
più antiche e nobili di Caltabellotta, dove essa si insediò
sin dai primi anni deI ‘600.
I suoi possedimenti erano molto vasti e tra essi spiccava il
feudo di Scunda, alias Realmaimone, dal quale prese nome il
baronato. I membri del casato parteciparono sempre
attivamente alla vita pubblica della comunità
caltabellottese e alcuni di essi ricoprirono la carica di
Sindaco.
L'ultimo discendente maschio, invece, il barone Emanuele
(morto nel 1967) si dedicò a tutt’altro. Ebbe solo due
figlie e con lui si estinse il cognome.
Trasferitosi definitivamente a Palermo nel 1954, il palazzo
non fu più abitato da membri della famiglia, lasciando il
tutto in mano ad amministratori e campieri. Fin d’allora
cominciarono ad essere evidenti i segni dell'incuria e
dell'abbandono.
Classica figura di feudatario ottocentesco, il Barone Bona,
non recepì il mutare dei tempi e quindi si lasciò travolgere
dal sopraggiungere inesorabile del progresso.
Dopo il suo trasferimento quei locali che un tempo
pullularono di vita, da mezzo secolo languono in un
malinconico degrado.
Gli ultimi eredi della famiglia farebbero bene a cederlo
gratuitamente al comune, quasi a parziale risarcimento di
quanto non fatto per Caltabellotta nell’ultimo mezzo secolo.
Si può dire tuttavia che il Palazzo Bona è un complesso
architettonico di notevole interesse storico -
architettonico, che ha bisogno di grandi cure e di grossi
investimenti, ma che merita di essere salvato. Un suo
riutilizzo a fini sociali lo farebbe ritornare al centro
dell'interesse della comunità caltabellottese. |